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Opl245, il testimone chiave dell’accusa smentisce sé stesso: «Mai visto manager Eni né tangenti»

[di Antonio Tricarico] pubblicato su Valori.it

Mercoledì mattina l’aula 7 della corte di appello del Tribunale di Milano era gremita per una delle ultime udienze della fase istruttoria del processo contro Eni e Shell e diversi top manager delle due società per la presunta mega tangente pagata per l’acquisizione della licenza Opl245 in Nigeria. Finalmente numerosi gli esponenti della stampa presenti per ascoltare la testimonianza del super-poliziotto nigeriano Isaac Eke, probabilmente collegato all’intelligence del paese africano e tirato in ballo dall’imputato Vincenzo Armanna, ex Eni e grande accusatore del vertice della società.

Una testimonianza clamorosa

Eke aveva contattato la Procura di Milano lo scorso novembre, dando la sua disponibilità a testimoniare al processo perché aveva incontrato Armanna nel 2009 ed era informato di alcuni fatti. Dopo una lunga gestazione finalmente il grande giorno è arrivato, ma Eke ha spiazzato l’accusa e sorpreso tanti.

Egli avrebbe incontrato Armanna solo due volte e brevemente nel 2014 e 2015 ad Abuja. E la sua decisione di venire a Milano sarebbe nata dalla richiesta di un suo amico, tal Timy Aya, testimone della difesa di Armanna – poi ritirato – che avrebbe chiesto a Aya di andare a Milano per chiarire la sua posizione e aiutarlo nelle sue vicende legali. Eke ha firmato la lettera inviata alla Procura a novembre, ma questa sarebbe stata scritta da Aya con la consapevolezza di Eke che alcune delle dichiarazioni contenute erano di fatto false.

Eke ha negato di avere rapporti con l’intelligence nigeriana e di essersi mai relazionato con la sicurezza dell’ex Presidente Goodluck Jonathan, né con manager di Eni o Shell. Secondo Armanna, Eke gli aveva detto di aver visto valigie con contante della tangente pagata circolare nella villa presidenziale di Aso Rock. Tutto negato ieri in tribunale. Incurante di aver candidamente ammesso di aver affermato il falso nella sua lettera, Eke ha lasciato l’aula. Ha tirato un sospiro di sollievo la difesa Eni, e soprattutto quella del manager Roberto Casula. Sempre secondo Armanna, infatti, Eke aveva saputo che due delle valigie contenenti 50 milioni di dollari del denaro corrotto sarebbero finite nella villa del manager italiano.

Lo 007 Castilletti: nessuna ingerenza ENI nella nomina del console onorario

Proprio la difesa di Casula ha portato in aula il successivo testimone, Salvatore Castilletti, una figura apicale dei servizi segreti italiani. Sembrerebbe che questi fosse tra i responsabile del Sismi a Baghdad ai tempi della triste vicenda Sgrena-Calipari.

Ai tempi del negoziato dell’Opl245, Castilletti era responsabile dell’intelligence italiana in Nigeria. Da dietro un paravento che proteggeva la sua identità, Castilletti ha detto al tribunale di aver saputo dell’Opl245 solo dai giornali, di non aver curato la security delle visite nel paese di Paolo Scaroni, allora ad di Eni, di non avere avuto rapporti professionali con Armanna e di aver solo riferito all’allora Console Generale Antonio Giandomenico il parere non ostativo dell’intelligence sulla candidatura di Gianfranco Falcioni, anch’egli imputato al processo, per la nomina a console onorario a Port Harcourt, poi avvenuta.

Per Castilletti questo era l’unico candidato formale, non anche l’imprenditore Gabriele Volpi, come sostenuto in tribunale nel 2019 da Armanna e dallo stesso Giandomenico. Quindi non ci sarebbe stata alcuna ingerenza di Eni nella nomina di Falcioni. Il quale, secondo la pubblica accusa, avrebbe aiutato, seppur con poco successo, poi la Malabu dell’ex ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete a trasferire la presunta tangente dell’Opl245 da Londra in Svizzera e poi nuovamente in Libano.

Castilletti non avrebbe saputo neanche del viaggio datato febbraio 2011 a Minna, nel sud del paese, di ScaroniDescalzi, Casula e Pagano di Eni per una visita lampo al presidente Jonathan nel contesto di un evento della sua campagna presidenziale.

L’accusa chiede (senza successo) due confronti all’americana

Di fronte alle pesanti smentite dei due testimoni, la pubblica accusa ha cercato senza successo di richiedere al tribunale di accettare un confronto all’americana tra Armanna e Eke e poi tra Armanna e Castilletti. Dopo una lunga pausa l’udienza è ripresa con una dichiazione spontanea di Armanna che ha ricordato come lui non sarebbe mai stato in Nigeria nel 2014 e nel 2015, che alle cene con Castilletti e Falcioni si sarebbe parlato regolarmente della nomina di quest’ultimo e che Castilletti avrebbe saputo bene di tutti gli spostamenti degli aerei privati di Eni e dei suoi top manager, e lo stesso Eke avrebbe aiutato a organizzare la visita a Minna. Ma soprattutto, secondo Armanna, Eke avrebbe mostrato a lui e Castilletti addirittura foto delle valigie piene di soldi della tangente.

Un legame tra “sistema Siracusa” e indagine Opl245?

Ma la giornata processuale non è finita qui. La pubblica accusa ha presentato la documentazione arrivata in risposta a due ulteriori rogatorie internazionali e l’Eni ha presentato anch’essa copiosa documentazione.

Il tribunale ha acquisito questi ulteriori elementi di prova. Quindi con un colpo a sorpresa la Procura di Milano ha chiesto ed ottenuto che siano ascoltati come ulteriore testimone l’avvocato esterno dell’Eni Piero Amara, fulcro del cosiddetto “sistema Siracusa” per la corruzione di giudici e pilotare alcune inchieste, fino ad influenzare alcune nomine al Consiglio Superiore della Magistratura.

Per queste accuse Amara ha patteggiato tre anni a Roma e un anno e due mesi a Messina. Il troncone milanese della maxi-inchiesta su questo sistema si incentra sul presunto “complotto” che avrebbe voluto minare proprio l’indagine della Procura di Milano sull’Opl245. Secondo l’accusa, si sarebbe fatto ciò avviando un’indagine fasulla in Sicilia su un complotto internazionale che sarebbe stato ordito ai danni dell’ad Claudio Descalzi.

Attesa per gli stralci degli interrogatori di Amara

Il PM Fabio De Pasquale produrrà gli stralci degli interrogatori di Amara in questa inchiesta da cui emergerebbero, secondo l’accusa, i presunti tentativi dell’Eni di convincere Armanna a rivedere la sua posizione accusatoria nel processo. Al riguardo il tribunale di Milano ha già accolto alcune prove prodotte dal PM lo scorso luglio. Proprio nell’ambito dell’inchiesta sul presunto “complotto” la scorsa settimana è avvenuta una raffica di nuove perquisizioni negli uffici dell’Eni in varie città.

La prossima udienza è fissata il 5 febbraio mattina. Sarà ascoltato  Amara, ma anche l’avvocato Fabrizio Siggia, ex difensore di Armanna, che ha lasciato l’incarico nella giugno 2019 in polemica con l’imputato e scrivendo addirittura una lettera al tribunale di Milano per negare di aver invitato il suo assistito a non deporre a luglio al processo. Dopo la nuova udienza, a meno di ulteriori colpi di scena, ci si avvierà verso le conclusioni del processo.

Processo Opl245, Eni: l’insostenibile leggerezza dell’ex ministro

[di Matteo Cavallito] pubblicato su Valori.it

Al processo OPL 245 – che vede sul banco degli imputati Eni, Shell e altre 13 figure chiave, tra manager e intermediari – è il giorno di Christopher Adebayo Ojo. Tocca infatti all’ex ministro della Giustizia della Nigeria spiegare il suo ruolo nella complessa vicenda che ruota attorno alla presunta tangente miliardaria versata per l’acquisizione della ricca licenza petrolifera nel Paese.

«Etete? Non vidi nessun conflitto di interesse»

Ojo entra in scena nel 2005 quando diventa attorney general del governo, incarico che ricoprirà per tre anni. È lui, nel 2006, a controfirmare l’accordo che restituisce alla Malabu Oil & Gas il controllo del giacimento OPL 245 che dal 2002 era gestito esclusivamente dalla Shell. Un’intesa sollecitata dal ministro del petrolio Dan Etete che però, come noto, è anche il proprietario effettivo della stessa Malabu. Lo ricorda il PM Sergio Spadaro ma nell’occasione la nonchalance dell’ex ministro è proverbiale.

Sapeva che Etete aveva un interesse nella compagnia? «Sì». Non pensò che l’assegnazione di OPL alla Malabu fosse illegittima? «No».

50 milioni per una consulenza senza successo

Colpisce più volte la leggerezza delle risposte, l’assoluta imperturbabilità con cui Ojo confermerà di qui in avanti particolari per certi versi sorprendenti, per non dire sospetti, per lo meno agli occhi dell’accusa. Nel 2009, la Malabu, ovvero Etete, assume proprio l’ex ministro nel ruolo di consulente legale con l’incarico di trovare potenziali compratori per OPL. Risultato? Una serie di incontri senza successo.

Spadaro chiede i nomi e Ojo oppone il segreto professionale, affermando però di non aver mai incontrato esponenti di ENI o Shell. Il contributo del consulente all’accordo del 2011 che consente alle due corporation di assumere il controllo del giacimento, insomma, è di fatto nullo. Eppure, come da accordi con Etete, l’ex ministro si vede riconoscere un compenso da 50 milioni di dollari.

La Svizzera stoppa Falcioni

E qui si apre un altro capitolo. L’accordo originale prevedeva che a gestire la transazione fosse la Petrol service, la società del vice-console onorario italiano in Nigeria Gianfranco Falcioni, uno degli imputati del processo. Petrol avrebbe garantito il buon esito dell’operazione incassando per questo 5 milioni di dollari, il 10% del compenso di Ojo.

L’accordo però sfuma quasi subito. Dopo aver ricevuto il miliardo e 92 milioni versato da Eni per l’acquisizione della licenza su un conto londinese della banca JP Morgan, il governo della Nigeria prova a trasferire la cifra alla Petrol Service. Destinatario del bonifico un conto della società presso la banca BSI di LuganoGli svizzeri però non si fidano e respingono al mittente il bonifico. Secondo l’accusa, la società di Falcioni sarebbe servita da tramite per coprire il reale beneficiario della transazione, ovvero Dan Etete. Falcioni, in definitiva, sarebbe rimasto a mani vuote.

«Aspetto ancora 40 milioni»

I soldi arriveranno comunque in Nigeria e una quota maggioritaria dell’importo, 532 milioni, finirà nelle mani di uno dei grandi protagonisti della vicenda: il super faccendiere Abubakar Alyu, grande amico dell’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan. Sarebbe stato lui, secondo la ricostruzione dell’accusa, a distribuire le quote della presunta maxi tangente. Tra i beneficiari anche Adebayo Ojo, destinatario di una transazione da 10 milioni di dollari effettuata da una società denominata Rocky Top Resources. Ojo, in aula, ha affermato di aver ricevuto legittimamente quel denaro come parte del compenso della Malabu. E i restanti 40 milioni? Li starebbe ancora spettando, ha spiegato, ma confida di riceverli. Al momento non ha intentato alcuna causa per il mancato pagamento.

Il ministro smentisce il manager Eni

Ojo, pare di capire, non si scompone facilmente. Nemmeno di fronte alle cifre con molti zeri. Nel corso della sua deposizione ha anche affermato di essere tuttora in affari con l’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, un altro degli imputati al processo. L’ex ministro, in particolare, racconta di aver versato a quest’ultimo un contributo da 1,2 milioni di dollari per avviare una «attività commerciale» nel settore dell’oro. E ha dichiarato, inoltre, di essere ancora interessato a lavorare con il socio espandendo l’attività anche al settore dell’energia rinnovabile e del petrolio. Stando a Ojo, però, i due non si sentono dall’anno scorso. Quanto ai progetti di business, ha proseguito, non vi sarebbe alcun accordo scritto.